8 giugno 1924, Everest.
Dalle tende del campo 6, sbucano due puntini neri ormai lontani, lontanissimi dal campo base.
A 8.170 metri d’altezza, gli alpinisti George Leigh Mallory e Andrew Sandy Irvine sono pronti.
Hanno cominciato a salire sulla parete Nord, il versante Tibetano della montagna, qualche giorno prima.
Il meteo sembra promettere bene, nonostante il freddo. A quelle quote però, il tempo,ci mette veramente poco a cambiare. E a quelle quote, nella zona della morte, in cui il corpo comincia lentamente a morire perché incapace di adattarsi, niente e` da sottovalutare. Nemmeno qualche addensamento di nubi in lontananza.
Bisogna fare in fretta, senza perdere neanche un minuto.
Si preparano al summit push, il tentativo finale agli 8.848 metri della montagna più alta del mondo.
La storia dell’Everest parte da lontano.
Nel 1921 ha inizio la prima spedizione britannica.
L’obiettivo è la perlustrazione dell’Himalaya, alle pendici della montagna più alta del mondo.
George Leigh Mallory è un debuttante in questi territori; eppure anche grazie al suo contributo venne scoperto il Colle Nord, una possibile via d’accesso alla vetta.
Nel 1921 l’Everest non si concesse e nemmeno nel 1922, quando gli inglesi ci riprovarono.
Nel 1924, George Leigh Mallory e Andrew Irvine piantarono e trascorsero la notte a campo VI – 8.170 metri.
Vennero visti partire, poi le nuvole li coprirono. Per sempre.
Mallory venne ritrovato 75 anni dopo, mentre di Irvine non vi fu traccia.
Venne chiesto a Mallory perché si ostinasse a scalare l’Everest, dedicandoci la vita ancor prima di perderla. La risposta fu tanto semplice quanto non scontata:
“ Perché è lì”
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