La grande corsa al siero

7 Set , 2024 - Le nostre serie

La grande corsa al siero
Nel 1925 – in Alaska, U.S.A. – la popolazione di Nome venne messa in serio pericolo dalla proliferazione della difterite.
Una malattia in grado di sterminare una fetta consistente di anime, se non opportunamente trattata e arginata da un siero antitossina.
prima di entrare nel vivo sono necessarie alcune premesse per cercare di inquadrare il contesto: nel 1925, anche le comunità ai confini del mondo, avevano ben chiari i ricordi della guerra che sconvolse il globo dal 1914 al 1918.
Oltre al primo conflitto mondiale ci fu un altro nemico, altrettanto pericoloso, che sfruttò gli spostamenti degli eserciti e dei popoli per diffondersi ovunque. Il virus dell’influenza spagnola, che fece decine di milioni di vittime in giro per il mondo, raggiunse anche i posti più impensabili.
Le stime sono varie, si parla di un numero compreso tra i 50 e i 100 milioni di vittime.
La malattia che si propagò per le vie di Nome, quella difterite che sembrava poter esplodere da un momento all’altro in una violentissima epidemia, venne contenuta grazie al coraggio condiviso e all’incredibile fiducia tra uomini e cani.

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Che territorio era l’Alaska negli anni dell’influenza spagnola?
E come reagirono le popolazioni, nel periodo immediatamente successivo, quando la difterite si abbatté su Nome?

Il grande gelo che aveva solidificato i mari a nord-ovest e l’isolamento dell’arcipelago delle isole Aleutine erano stati i principali ostacoli alla corsa del virus, in particolar modo durante la terza ondata che caratterizzò l’inverno 1918-1919.
Ma quelle due muraglie, apparentemente invalicabili, avevano cominciato a sgretolarsi.

Era soltanto una questione di tempo e quando le acque divennero nuovamente navigabili lasciando passare i pescherecci, la grande malattia bussò alle porte dei locali.
Le stagioni miti cominciarono infatti a scaldare e sciogliere, a crepare e a far collassare il ghiaccio che impediva gli spostamenti sul mare di Bering.
E con l’arrivo dei pescherecci le probabilità di contagio esplosero anche in Alaska occidentale.
Quelle imbarcazioni attrezzate con bobine di reti a strascico, arpioni e verricelli, inseguite dai volatili affamati dagli scarti della lavorazione di bordo del pescato, arrivarono a ridosso della terraferma trasportando un killer invisibile.

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Il batterio Corynebacterium diphtheriae, responsabile della difterite, scese minaccioso su Nome e sui più vulnerabili: bambine e bambini.
Ancor prima di essere identificato in città – al Maynard Columbus hospital – il dottor Curtis Welch e le infermiere avevano verificato lo stato di conservazione dei farmaci in ospedale.
Emerse però una criticità: il siero antitossina contro la difterite era scaduto, reso inutilizzabile dal tempo.Una variabile a cui prestare la massima attenzione che si trasformò in tragedia quando si manifestarono dei casi sospetti proprio nel distretto di Nome.
Il Corynebacterium diphtheriae non poteva essere contenuto in assenza del siero, ma con i porti della città ormai inaccessibili a causa del ghiaccio e con gli aeroplani costretti a rimanere a terra per condizioni metereologiche avverse, Nome era completamente isolata da qualsivoglia supporto.
E nonostante Welch avesse comunque ordinato un nuovo lotto di siero antitossina, a dicembre del 1924 non era ancora arrivato e mai avrebbe potuto giungere a destinazione, prima della fine dei lunghi mesi invernali.
Un periodo insostenibile, soprattutto quando Welch si accorse di uno strano incremento di diagnosi correlate a infiammazione del cavo orale e tonsillite.
Tante similitudini che in pochi giorni portarono alla morte delle prime vittime.
Soltanto con l’autopsia venne ufficializzato l’allarme: a Nome era appena arrivata la difterite.

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Il 22 gennaio 1925 il dottor Curtis Welch corse nell’ufficio al piano terra del Maynard Columbus Hospital.

Una strana luce filtrava dalle finestre condensate, il mare di Bering era una tavola di ghiaccio solido come cemento in quella stagione.
Al limite delle ultime case lo sguardo sprofondava nel nulla.
A nord si intravedevano le prime montagne minacciate da scuri addensamenti di nubi; su quei rilievi impolverati di bianco, il vento spazzava le cime e si insinuava nei canaloni.

A Est la tundra concedeva il miraggio della speranza, la possibilità di vedere qualcuno arrivare in soccorso da chissà dove. Allo stesso tempo però, la tundra, sprangava quelle fantasie nella solitudine del niente che si spande attorno a una città.

Nella mente di Welch quelle immagini vennero interrotte dal senso di responsabilità.
Telegrafo alla mano, inforcò gli occhiali e affidò la vita ai cavi elettrici del sistema militare Washington – Alaska.

Prima del 1905 – quando venne installato l’innovativo sistema di comunicazione – le notizie arrivavano con settimane di ritardo, trasportate a mano su carta da lettera, viaggiando via nave tra baie e fiumi navigabili, trasportate dai cani da slitta con staffette postali da città a città o memorizzate dai piloti dei voli interni ai quali venivano affidate storie e memorie.

Ma nel 1925 il telegrafo fu un primissimo spiraglio di luce e divenne chiaro che Nome era in serio pericolo:

Nome, costa ovest STOP
Una pericolosa epidemia STOP
Difterite STOP
Abbiamo bisogno di siero, siamo tutti in pericolo STOP
Possibile solo via posta STOP
Pregate per noi STOP


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Bill Shannon ricevette il battesimo di un’immensa responsabilità.
Non si tirò indietro, sarebbe stato lui insieme al suo team ricevere il carico di siero antitossina per condurlo nei primi 84 chilometri della grande corsa.
Siero che nel frattempo era appena arrivato da Anchorage a Nenana, seguendo una linea ferroviaria che strisciava come una biscia nella taiga intrappolata dal ghiaccio, lasciandosi alle spalle le montagne strapazzate dalle bufere di neve, mentre il fischio della locomotiva annunciava l’arrivo del treno lanciato ad alta velocità.
Nel frattempo a Nome era stato pianificato l’intervento di un’altra squadra.
Sarebbe scesa in campo un’altra muta capitanata da un certo Leonard Seppala.
Un norvegese particolarmente legato al suo cane leader: un siberian husky di nome Togo. Entrambi campioni di corse in condizioni estreme, svilupparono negli anni un’intesa che li portò ai vertici delle competizioni.
E nel 1925 la grande corsa al siero divenne un appuntamento col destino, da non fallire.

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ogo sembrava aver percepito l’ansia che stava inondando la mente del suo musher.Un senso di angoscia offuscò i pensieri di Leonard mentre indirizzava la slitta verso le coste.
La difterite non aveva colpito soltanto alcuni bambini, aveva colpito anche in famiglia.
La figlia Sigrid aveva soltanto otto anni, cresciuta a Nome tra freddo e cani.
Anche lei però in quel gennaio 1925 fu sottoposta alle visite di Curtis Welch che la ricevette al Maynard Columbus Hospital dove, nel frattempo, i posti letto a disposizione stavano diminuendo.
La fronte scottava ma non era una semplice alterazione di stagione.
Il collo era piuttosto gonfio e fu proprio questa “stranezza” a far insospettire Leonard e la moglie Constance.Welch le ispezionò la gola, poi la tamponò con un panno fresco per concederle un po’ di sollievo dalla febbre.
Non servì nemmeno una parola, Seppala aveva capito dallo sguardo rassegnato del dottore la diagnosi: difterite.

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Leonard Seppala venne accecato dalla potenza del blizzard. La tempesta di neve era impenetrabile, non si riusciva a vedere nulla, ogni riferimento era nascosto e la temperatura continuava a scendere.
I termometri fecero segnare 65 gradi sotto zero.
Era in balia del vento più potente che avesse mai percepito, una sorta di uragano gelido che spazzava le coste. Volle affidarsi alla sua muta, in un gesto tanto naturale quanto profondo.
Impossibilitato nel vedere anche soltanto la prima fila di cani, Togo prese il comando della situazione. Instancabile nonostante i 12 anni d’età, condusse la marcia persino attraverso le acque ghiacciate del mare di Bering che lambivano la terraferma.
Un segmento lungo circa 32 chilometri che permise di accorciare sensibilmente i tempi.
Togo si affidò completamente al suo olfatto. E non sbagliò.

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