Stava 1985 – Un disastro dimenticato

10 Set , 2024 - Le nostre serie

Stava 1985 – Un disastro dimenticato

La memoria consente di mantenere viva una realtà e di ricostruirla nonostante una catastrofe abbia spazzato via una vallata, 268 vite, 56 edifici, 6 capannoni e 8 ponti. Alimentarla però non è un’attività semplice né tanto meno scontata. Ecco quindi che entra in scena la Fondazione Stava 1985, separando l’oblio del dimenticatoio da una memoria collettiva che, seppur estremamente dolorosa, deve rimanere tangibile.

Intervista a Michele – Stava 1985

Si tende sempre a semplificare, fare memoria vuol dire approfondire, fare memoria vuol dire fare fatica. La memoria è fatica nel tempo

La genesi del disastro

Raccontare un fantasma

Una memoria indelebile

Episodio 1

L’importanza dell’acqua

L’intera Val di Fiemme conobbe un mondo completamente diverso da quello che era sempre stato vissuto lassù, fin da quando l’essere umano aveva cominciato a bazzicare queste terre. Come in una staffetta lunga secoli interi il testimone passò dalle mani dei cacciatori a quelle dei pastori stagionali (che risalivano in quota col bestiame in estate), per poi essere tramandato ad agricoltori, mugnai, fabbri, artigiani e carpentieri. Con il tempo si creò un vero e proprio piccolo mondo, funziona così tra le montagne in cui la condivisione è un elemento essenziale per la sopravvivenza.

Episodio 2

Il richiamo delle miniere

Le miniere di Prestavel cominciarono ad attirare l’attenzione di molti soggetti interessati allo sfruttamento di alcuni filoni di fluorite, o almeno così si diceva. Erano queste le voci che giravano in paese, nelle osterie, da uno steccato all’altro mentre ci si prendeva cura dell’orto, nei turni di lavoro delle segherie. Voci fondate, che si rivelarono tali nel 1934.

Episodio 3

Il ritrovamento della fluorite

La prima concessione per l’estrazione e la successiva lavorazione della fluorite venne rilasciata agli inizi di marzo 1935, all’incirca un anno dopo l’effettivo rilevamento dei filoni. Per circa 25 anni – praticamente fino agli inizi degli anni ‘60 – le attività correlate alle miniere del monte Prestavel furono piuttosto contenute rispetto a quello che sarebbe successo negli anni successivi. I dati che indicano la quantità di materiale estratto dalla montagna – e per materiale si intende tutto, proprio tutto (sia fluorite che altri materiali non utili alla lavorazione – in gergo tecnico: ganga) sono diversi rispetto a quelli che caratterizzarono la produzione e la lavorazione mineraria dal 1960 al 1985. Dal 1935 al 1960, per un quarto di secolo, dalle miniere di Prestavel continuarono a uscire mediamente 30 tonnellate di materiali al giorno. Poi la produzione venne intensificata e spostata verso la Val di Stava.

Episodio 4

Dovevano crollare

Il sito destinato all’edificazione delle discariche venne scelto a tavolino: località Pozzole, a valle del Monte Prestavel, su un terreno acquitrinoso e in pendenza, proprio sopra le teste dei centri abitati che si sviluppano lungo le sponde del Rio Stava, dall’omonima frazione per scendere poi giù fino a Tesero.

Ma perché Pozzole e non un altro posto?

Me lo sono chiesto più volte. Mi sono trovato di fronte a un paradosso in cui l’intelligenza e la negligenza collidono. Non ho saputo interpretare il motivo di un posizionamento del genere, poi nel libro “Stava Perché” di Graziano Lucchi ho trovato una risposta. Il quotidiano L’ADIGE riporta le parole dell’”Associazione Sinistrati Val di Stava” – 04/06/1987 a circa 2 anni dal disastro: “Il problema delle scorie, si sa, è un problema di costi che si inserisce nell’economicità della gestione e nella redditività dell’impresa. Ecco allora la scelta dei prati di Pozzole sopra Stava, un’ubicazione la più vicina possibile alla miniera ed alla laveria, che elimina i costi di trasporto del materiale di scarto. Una scelta tecnica sbagliata, una scelta economica corretta. Ecco le progettazioni approssimative, ecco lo scarico massiccio di materiale che consente la redditività della laveria anche per la lavorazione di materiale che proviene da altre miniere: scelte economiche corrette che si mescolano alle scelte tecniche. Ecco la superficialità, la noncuranza, l’approssimazione e l’incuria che contraddistingue la gestione ultraventennale delle discariche, fonte di costo e non di reddito. Ecco le scelte politiche, di una politica che a tutti i costi deve assicurare dei posti di lavoro. E` un sistema perverso fatto di scelte che privilegiano l’interesse economico e la produzione di reddito, alla difesa di poche decine di posti di lavoro, alla sicurezza di intere popolazioni. Le discariche di Prestavel sono crollate, apprendiamo oggi, perché dovevano crollare…”

Episodio 5

Era soltanto una questione di tempo

La costruzione del primo bacino di decantazione ebbe inizio anche senza tutte le autorizzazioni. Ma ciò che oggi – come in passato – desta particolare scalpore è appunto la scelta dei prati di Pozzole. Perché in questo momento la storia cambia ancora una volta traiettoria, virando verso imperdonabili negligenze. Lo strato di terreno superficiale di Pozzole è come una grande coperta. Una coperta umida che copre un sottosuolo diversificato. E proprio l’acqua conferisce al terreno una particolare caratteristica: quella di non essere particolarmente stabile, specialmente se sottoposto a carichi decisamente pesanti.Gli strati da cui è composto il terreno sotto ai prati di Pozzole sono tre. Gli strati permeabili superiore e inferiore contengono una fascia intermedia impermeabile che – a cause delle sue discontinuità, a cause delle sua conformazione – permette uno scambio idrico tra le diverse stratificazioni.
Un terreno su cui non sarebbe stato da escludere un – più che possibile – cedimento. Va ricordato che dal momento della prima richiesta all’avvio dei lavori, nell’aria c’è l’idea di un solo bacino di decantazione.
Nel disastro del 1985 però fu decisamente influente un secondo bacino, sovrastante il primo tanto da poggiare parte del suo peso sulla discarica sottostante poiché i sistemi di costruzione e accrescimento di queste gigantesche vasche furono diversi. E anche questo aspetto, come vedremo, farà pensare a come sia stato possibile. Non soltanto da un punto di vista tecnico – che tra coefficienti di sicurezza, sedimentazioni dei fanghi, sopportazione dei carichi, condutture e materiali risultano piuttosto complessi – ma anche da un punto di vista etico. Perché – a tutti gli effetti – venne accesa la miccia di una bomba a orologeria sopra le teste di migliaia di persone. Da quel momento in poi sarebbe stata soltanto una questione di tempo.

Episodio 6

La costruzione dei bacini

Durante la costruzione delle fondamenta del secondo bacino emersero delle stranezze. L’argine di base venne costituito prettamente da terreno di scavo, privo di elementi drenanti (fascine e blocchi di basalto) che invece caratterizzarono la prima discarica.Ma non solo, non ci sono ancoraggi al terreno. Non c’è cemento armato che tiene saldo il tutto a un fondo comunque precario. Inoltre una porzione del secondo bacino invade lo spazio del primo, appoggiando sopra di esso una parte del suo peso. Le due vasche sono vicinissime, una sopra l’altra. Al culmine di uno scivolo naturale che porta dritto a Tesero.

Episodio 7

Richieste pericolose

In Val di Stava la situazione si fa sempre più intricata.A vigilare sulle miniere c’è il Distretto Minerario di Trento, ma non si è mosso. Ai vertici nessuno parla di sicurezza, di condizioni precarie, di ipotetica instabilità dei manufatti. Al centro del mirino c’è l’abitato di Stava, proprio sotto Pozzole.
Passano 9 giorni dalla richiesta della concessionaria poi, il 21/06/1974, la giunta Comunale di Tesero si riunisce. E’ il primo giorno d’estate, una stagione cruciale per la Val di Stava che gestisce importanti flussi turistici. Le scuole in Italia sono praticamente finite, alcune famiglie si stanno già mettendo in viaggio per raggiungere le montagne, gli alberghi sono a regime, i locali attendono i primi incassi importanti dopo il disgelo e una primavera anonima. Ma la giunta Comunale di Tesero non si è ritrovata per un piano relativo ai flussi turistici.
All’ordine del giorno c’è la richiesta della concessionaria che comincia seriamente a preoccupare.

Episodio 8

Le verifiche del 1975

Nessuna delle società che si sono alternate al comando di Prestavel ha mai parlato troppo finora. Forse per tecnicismi, forse per interessi, forse per convenienza, forse per modo di fare. Ma su temi del genere non si può essere riservati, bisogna garantire trasparenza. In quegli anni si è potuto infatti constatare che le concessionarie sanno districarsi, senza particolari patemi d’animo, nel mare delle pratiche burocratiche più o meno lecitamente. Adesso devono fornire certezze. Il Comune di Tesero approfondisce la questione interpellando l’assessorato provinciale dell’industria e dell’artigianato; una volta ottenuta una risposta positiva, il consiglio comunale avrà l’ultima parola. Prima di questa trafila, nessuna penna verserà una goccia d’inchiostro su alcun accordo.

Episodio 9

Ombre sui bacini

“Se nell’argine si aprono delle crepe, nel breve volgere di tempo si determina l’apertura di ampie falle e lo scivolamento verso valle di valanghe di fango semifluide. La situazione può assumere caratteri catastrofici per gli insediamenti umani a valle” aggiunge anche che “il suolo della radura era acquitrinoso”. Tutto questo viene scritto nel 1973 ma, allora, dove sono finite queste carte? Possibile che siano andate perse? O che per qualche motivo non siano andate lette nella giungla degli assestamenti societari che proliferò attorno alle miniere di Prestavel? Ma soprattutto com’è stato possibile che venisse costruito un secondo bacino facendone – addirittura – poggiare una parte sul primo?

Episodio 10

Verso il giorno più buio

Mancano 10 anni all’ora più buia.

Una vergogna nella storia dell’essere umano che, però, nonostante sia decisamente recente non fa il giusto rumore. Rimanendo isolata e incastonata in una cornice da sogno, tamponata e curata dalle popolazioni che andarono avanti dopo aver perso tutto. Ad autunno inoltrato, il 14 ottobre del 1975, Ghirardini invia a Morandi la documentazione da sottoporre al distretto minerario di Trento. All’interno non ci sono le prove della Consonda ma soltanto i risultati rilevati con indagini più che marginali.
A poco servirono le ammissioni in fase processuale in cui si confessò l’ignoranza dell’effettiva consolidazione dei materiali, di non aver ritenuto necessario il coinvolgimento di un esperto in bacini di decantazione per un ulteriore parere, di non aver richiesto i disegni dei progetti relativi alle vasche, di non essere stati sufficientemente padroni della materia, di aver sottostimato il pericolo, di aver anteposto all’imprudenza e al risparmio la vita di centinaia di persone.

Episodio 11

19 luglio 1985

“Mi perdoni Don ma…di fronte a tutto questo…come si fa a credere che Dio è padre?”

Comincia con questa frase, tratta dal libro “Stava Perché” di Graziano Lucchi, l’ultima puntata dedicata alla storia della Valle di Stava e di chi venne coinvolto dal disastro del 19 luglio 1985. Sono le parole di un ragazzo scampato a una colata mortale che si portò via 268 persone. Sono queste le parole che vengono poste d’istinto, di pancia, di sconforto, di rabbia al parroco di Tesero Don Giovanni Cionci.D’altronde a chi altri ci si potrebbe rivolgere? Il 19 luglio 1985 non si sa ancora cosa ci sia stato dietro al collasso dei bacini di decantazione. E’ impossibile darsi una risposta, non lo si può fare senza gli elementi processuali che devono ancora essere riesumati dalle indagini. Viene naturale farsi delle domande, viene spontaneo interrogarsi su come sia stato possibile che in una manciata di minuti si siano cancellate una valle e centinaia di vite. Non si può soprassedere alle emozioni di un momento così confuso. E allora si tenta di rimanere agganciati a una qualsiasi fede, allo spiraglio di una speranza concessa da qualcuno o da qualcosa. Ma come si fa di fronte a tutto quello che è appena venuto giù da Pozzole?

Come si fa a non mettere in discussione Dio?

Una mossa disperata tanto per chi è abituato ad ascoltare le omelie di Cionci sia per chi non ha mai varcato il portone della chiesa di Tesero. Perché quella visione è opprimente. Sul Rio Stava ci sono già i primi soccorritori, dal ponte di Tesero si riesce a vedere la portata della distruzione. Una violenza capace di rompere, seppellire e devastare tutto ciò che si è trovato nel suo raggio d’azione. Il 19 luglio 1985 per la Val di Stava, per la Val di Fiemme e le sue genti è l’anno 0. Un momento, un attimo, che separa il “prima” dal “dopo” tracciando un segno netto nella storia di questa vallata e del suo popolo


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