Questa è la storia di Tita Piaz, un insieme di aneddoti e leggende popolari. Un uomo in controtendenza nella storia delle Dolomiti che, con il suo genio, scardinò gli stereotipi di intere comunità alpine. Ebbe la forza di imporsi come alpinista, di introdurre idee moderne e rivoluzionarie, di manifestare apertamente uno scomodo credo politico. Questo viaggio non vuole essere un racconto prettamente alpinistico perché non si riuscirebbe ad inquadrare la figura di Tita Piaz. E’ un’anima che si divide tra montagne e impegno sociale, tra passioni impulsive e strategiche mosse imprenditoriali, in bilico tra l’approvazione e il disdegno dei suoi stessi valligiani.
Episodio 1
In val di Fassa, sul finire dell’Ottocento, la gente mormorava che si aggirasse un diavolo. Sulle pareti lisce e verticali delle montagne si intravedeva, sempre più spesso, un uomo. Si appendeva non si sa bene come, forse con artigli infernali, persino sui tratti di roccia più ostili. Osava sfidare l’impossibile o tutto quello che, fino ad allora, era stato etichettato come “al di fuori della portata umana”. Si parlava di un patto col demonio in piena regola. Solo il maligno avrebbe potuto donare simili capacità a un valligiano. Quando questo maledetto passava di fronte al sagrato della chiesa, le vecchie signore di Pera di Fassa ripetevano più volte il segno della croce. Quel diavolo era diventato lo spauracchio di chi aveva fissa dimora sugli inginocchiatoi. Poi c’era il suo cane: l’aveva chiamato Satana. Satana lo accompagnava dappertutto, sia in città che in montagna.
Arrivava fin dove poteva e, alla pari di un mulo, portava corde d’alpinsimo attorno al collo.
Avrebbe fatto di tutto per il suo padrone. Condivideva ogni onere.
Si incamminavano insieme verso l’attacco delle pareti. Lui lo aspettava, l’altro scalava. Un cane fedele. Fedele a tal punto che, quando morì, non venne sepolto. Si disse che Satana venne mangiato dal Diavolo.
Si riunirono così in un solo corpo.
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