I devastanti terremoti bellunesi

È il 18 ottobre 1936. Sono le 4:10 del mattino. Nel nordest italiano la terra comincia a muoversi. La scossa è sempre più intensa. La terra, quella notte, trema. Quasi ruggisce. Sveglia chi dorme. Nessun uomo, nessuna donna, nessun bambino o bambina si addormenterà più prima dell’alba. Corrono fuori di casa. La nonna quasi strappa la vestaglia alla nipote nella fretta, il vicino fà fianco fa uscire le bestie, i neonati protetti dai corpi dei genitori strillano. L’obiettivo è univoco, per tutte e per tutti: la porta di casa. Raggiungono le strade, le piazze, i vicoli. Da Puos d’Alpago e Cornei fino a Belluno, giù nel trevigiano per sconfinare in Friuli – quella notte – ne ricorda una di 63 anni prima. È ancora buio ma i lampioni illuminano l’intonaco. Le crepe corrono verso i tetti dove le tegole sussultano. Poi cadono. Alcune da sole. Altre insieme a ciò che le sostiene.Al confine orientale tra Veneto e Friuli Venezia Giulia, è tornato un terremoto. Nell’aria si alzano le polveri delle macerie. Gli animali lo hanno percepito in anticipo e si dimenano nelle stalle. Alcune vacche, quella mattina, vengono munte in ritardo. La terra trema e fa paura, tanta paura.

In pieno ventennio fascista, i titoli di giornale nazionali parlano chiaro ma parlano strano. Del terremoto si scribacchia qui e là negli articoli del Corriere della Sera e della “Stampa Sera”. Il quadro che emerge è particolare:

“La popolazione è calma

Si evoca tranquillità sin dal 19 ottobre, il giorno successivo. Mentre molte famiglie sono costrette ad abbandonare le abitazioni pericolanti, mentre altre piangono le vittime, mentre le comunità si stringono l’una all’altra. Gli organi di stampa abbassano la tensione, pilotando l’attenzione a favore del Duce. Grazie alla fonte dell’istituto nazionale di geofisica e vulcanologia, ecco alcuni titoli di giornale:

  • “L’opera di soccorso disposta dal Duce” (Stampa Sera, 19 ottobre 1936)
  •  “Le disposizioni del Duce per le immediate provvidenze” (Corriere della Sera, 20 ottobre 1936)
  •  “La relazione al Duce sui soccorsi prestati ai danneggiati di Sacile” (Stampa Sera, 24 ottobre 1936)
  •  “Un primo stanziamento di 15 milioni disposto dal Duce” (Corriere della Sera, 24 ottobre 1936)

Cosa emerge dai titoli? Delle vittime quasi nulla. Finiscono tra i generici “danneggiati di Sacile”. Dei centri abitati colpiti ancor meno. Non si parla di edifici danneggiati ma tanto per dare qualche numero: a Puos d’Alpago, 1 casa su 2, 1 stalla su 2, 1 baracca su 2, 1 rimessa su 2 risultano inagibili.

E così la stampa impone – in silenzio – il silenzio.
Il clamore, l’opera pia, il salvatore è uno e uno solo: Benito Mussolini. Ci vorranno due anni per rimettere in piedi Puos d’Alpago, Cornei, Sacile, Vittorio Veneto e dintorni. Nota particolare per la ricostruzione consiste nell’inserimento dei comuni colpiti in un programma normativo mirato a mettere in sicurezza la zona. Nel 1924, anno in cui vengono definiti questi parametri da un “regio Decreto”, nessun comune veneto viene coinvolto. Belluno, Treviso, Udine e in seguito Conegliano saranno presi in considerazione soltanto nel 1937. Conegliano e altri comuni trevigiani verrano però esclusi l’anno successivo, i vincoli sono ritenuti un ostacolo allo sviluppo economico. Norme che nel 1947 svincolano anche Vittorio Veneto, definite come un “intralcio” alla ricostruzione.


Commenti

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *