Maria Plozner Mentil: la storia delle portatrici carniche

Il fronte di guerra al confine tra Carnia e Carinzia ha rappresentato uno dei grandi paradossi del primo conflitto mondiale. Le comunità italiane e austriache avevano convissuto da sempre, collegate tra loro da un valico alpino fondamentale sia per le economie locali che per lo sviluppo del conflitto: il Passo Monte Croce Carnico.
Le donne dei paesi a valle divennero una risorsa fondamentale per l’esercito italiano. Educate e rodate alla fatica, dei carri armati in vestito che non si sarebbero di certo tirate indietro alla richiesta d’aiuto dei battaglioni. Lassù infatti c’erano giovani, figli, mariti, compagni, fidanzati, padri, c’era una parte delle loro famiglie in difficoltà. Le donne, come previsto, risposero presenti.“Andiamo che altrimenti quei poveretti muoiono di fame”. Cominciò in questo modo la storia delle portatrici carniche. Una storia importante, caduta nel dimenticatoio, assieme a quella di altre donne: come le cadorine ad esempio, impiegate allo stesso modo a supporto dell’attività bellica. A rappresentare questo movimento femminile sia sul fronte Carnico che sui restanti fronti alpini: Maria Plozner Mentil.

Lo sbuffo del respiro appanna il mirino del cecchino. Non vede nulla.
Il soldato austro-ungarico deposita a terra l’arma che si appoggia sulle nevi del Passo Pramosio.
E’ appostato poco lontano dal sentiero principale da dove ha una buona visuale.
Non ci sono alberi ad ostacolarlo. Sfila la tracolla del fucile e si accovaccia a terra, invisibile ai cannocchiali degli italiani. Mangia un tozzo di pane raffermo da chissà quanti giorni; crosta e mollica hanno la stessa consistenza, dure come granito sotto i denti.
Ne approfitta per sfregarsi le mani dannatamente congelate da quelle maledette montagne; in giro non c’è nessuno, il silenzio di quella giornata è persino sospetto. Di solito volano pallottole ed esplodono granate ma le nubi di quella mattina d’inverno hanno concesso una tregua a quella guerra infame. I guanti non scaldano abbastanza e già alcuni giorni prima le dita hanno cominciato a cambiare colore, virando sul violaceo. Le piaghe del freddo hanno scorticato le nocche che si aprono e si chiudono senza mai cicatrizzarsi del tutto. Se dovesse apparire il bersaglio da abbattere, anche i cacciatori più esperti potrebbero mancarlo. Il vento soffia e penetra nella divisa; folate di neve entrano dal collo e corrono lungo la schiena. Non c’è niente a proteggerlo se non un masso e tante, tantissime preghiere.
La neve ha omologato tutto. Sembra un mare bianco e piatto che si distende verso il fondovalle; cominciano a intravedersi gli alberi, le tracce dei sentieri seguiti dagli italiani si fanno sempre più nitide. E’ ora di rimettersi in posizione, in fretta e in silenzio. L’M95 è pronto a far fuoco.
Dal mirino scruta la traccia che si arrampica al fronte; si sposta nervosamente, il fucile cigola, il cuore pulsa, il grilletto è ghiacciato. Poi avverte un suono; non lo riconosce, non capisce cosa sia. Dalla nebbia sbucano due sagome, curve dal carico che portano sulle spalle. Osserva con attenzione.


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