Quando i lupi spostarono i fiumi

Nel 1995 in USA, nel Parco Nazionale dello Yellowstone vennero reintrodotti i lupi. L’assenza di questo grande predatore per oltre 70 anni da questi luoghi aveva permesso un aumento incontrollato del numero di ungulati. Specialmente di uno, un grande cervide del Nord America, il wapiti. Nonostante i tentativi di intervento dell’uomo, il loro numero era comunque cresciuto a dismisura e l’eccessiva presenza di questo erbivoro stava causando un forte deterioramento delle risorse alimentari. In natura tutto è connesso. Ciascun essere vivente è in stretta relazione con gli altri e nessuno esiste per sé stesso. Ciò che regola fondamentalmente gli equilibri ecosistemici sono le varie interazioni biologiche: tra le principali la predazione, la simbiosi, la facilitazione o la competizione.

La più complessa è la prima, anche se siamo portati erroneamente a pensare che si risolva tutto nel rapporto preda-predatore.

Per capire meglio come funziona bisogna introdurre il concetto di CATENA TROFICA: l’insieme di eventi che vanno a modificare la biomassa disponibile in un ecosistema. La biomassa altro non è che l’unione, la somma, di tutti gli organismi viventi presenti in quell’ambiente preso in considerazione.

Questa viene costantemente trasferita sui diversi livelli della catena alimentare, sottoforma di energia. Alla base si trovano gli organismi produttori: sono i cosiddetti AUTOTROFI, i vegetali,perché sono in grado di creare biomassa sottoforma di accumulo di carboidrati, trasformando l’energia luminosa insieme ai nutrienti semplici presenti nel terreno. La famosa FOTOSINTESI CLOROFILLIANA per intenderci.

Da qui si parte con il primo livello di consumatori, ovvero gli animali ETEROTROFI. Questi necessitano di nutrirsi attraverso altri organismi e sono di conseguenza gli erbivori.

Successivamente salendo troviamo i consumatori secondari: i carnivori. Se un ecosistema è sufficientemente complesso è possibile che ospiti anche consumatori di livelli superiori come terziari e quaternari, quegli animali identificati con il termine SUPER PREDATORI. E’ il caso dei grandi mammiferi, dei rapaci e di grandi pesci come gli squali. i super predatori sono all’apice della catena alimentare e hanno il grande vantaggio di potersi nutrire in realtà potenzialmente di qualsiasi livello inferiore (come nel caso dell’orso classificato tra i grandi carnivori ma dalle abitudini prettamente onnivore: non disdegna una brucata di erbe d’alta quota, come insetti o un cervo).Ma questo della biomassa è un ciclo, e non vede una vera e propria fine: ad un certo punto entrano in gioco gli organismi BIORIDUTTORI (ovvero funghi e batteri) che sono incaricati di disgregare e decomporre la sostanza organica e restituire all’ambiente l’energia sotto forma di elementi semplici, remineralizzando il suolo e facendo così ripartire il tutto.

Una delle più affascinanti scoperte scientifiche moderne in questo campo di studi è stata proprio relativa al fenomeno della CASCATA TROFICA. Ogni evento che occorre all’apice, ha effetto a caduta su tutti i livelli che la compongono dall’alto verso gli inferiori.

Nell’istante in cui i lupi tornarono ed iniziarono a cacciare si assistette ad un primo immediato fenomeno: i wapiti avevano cambiato il loro comportamento. Smisero infatti di frequentare alcune zone del parco, quelle dove si sentivano maggiormente in pericolo per la presenza del predatore. Quelle stesse aree in soli 6 anni cambiarono completamente volto. Lì molte nuove specie vegetali come pioppi e salici si insediarono. Essi costituirono un rifugio disponibile per passeriformi e piccoli roditori. Con l’arrivo di uccelli e di topi fecero ritorno di conseguenza volpi, donnole e tassi. Un altro animale che interessò le predazioni dei lupi fu il coyote. Calando il numero dei coyote si favorì l’aumento di quello di lepri e conigli, che attirarono in breve tempo più rapaci.

Poi tornò la vita nei fiumi: grazie alle attività dei castori, famosi ingegneri ambientali, che con le loro dighe favorirono l’aumento di altri abitanti come il topo muschiato e i pesci, che a loro volta attirarono le lontre.

Tutti questi numerosi banchetti offrivano anche sicuri resti per gli animali spazzini tra cui corvi e orsi (già favoriti contemporaneamente anche dalla nuova rigogliosa presenza di arbusti da frutto). Le foreste e la vegetazione rigenerate stabilizzarono gli argini e le rive dei fiumi prevenendone l’erosione, e perciò modificandone la corsa che da tortuosa e ricca di meandri divenne stretta e lineare. Infine questi ripresero la normale creazione di bacini ampi e tranquilli che definirono un paesaggio caratterizzato da ampie e rigogliose praterie.

Sostanzialmente i lupi avevano contribuito a plasmare il paesaggio e l’intero ecosistema, con la loro attività di selezione e controllo. Questo esempio credo sia uno dei più belli e più rappresentativi quando si cerca di spiegare l’importanza dei predatori apicali: essi svolgono un ruolo centrale nell’equilibrio ecologico, con effetti positivi sulla natura. ad esempio i lupi

cacciano perlopiù animali deboli e malati, rafforzando così l’intera popolazione delle loro prede. Queste a volte adeguano il proprio comportamento alla presenza dei predatori, come abbiamo visto nella storia di Yellowstone, ma come succede anche sulla Alpi, il che va a vantaggio del bosco. Gli orsi poi e altri animali chiamati spazzini, fanno piazza pulita delle carogne lasciate dagli altri predatori contribuendo così a evitare la diffusione delle malattie. Il caso più significativo che si sta verificando nei nostri rilievi montuosi interessa per esempio la diffusione della peste suina africana a carico del cinghiale. Non si tratta di una zoonosi, cioè il patogeno al momento non è pericoloso per l’uomo, ma per i suini di allevamento zootecnico invece sì, e questo sta causando non poche perdite a livello economico per gli allevatori. Mentre l’intervento di controllo delle popolazioni di cinghiali da parte dei cacciatori umani sta dando scarsi risultati, se non addirittura peggiora la situazione favorendo l’espansione del virus attraverso gli spostamenti sul territorio, studi scientifici hanno dimostrato quanto i lupi e gli altri carnivori giochino un ruolo cruciale in questa partita! Gli enzimi digestivi contenuti nello stomaco e nell’intestino di lupi e volpi, infatti, sono in grado di inattivare completamente il virus! Quindi se un animale infetto viene predato, con lui viene potenzialmente rimosso anche il virus dall’ambiente, poiché una volta consumata la carcassa i carnivori non lasciano tracce del virus nelle loro feci. Al contrario se una battuta di caccia da parte dell’uomo, la cosiddetta braccata al cinghiale, favorisce lo spostamento di masse di soggetti, potenzialmente infetti, in territori dove magari prima il virus non era presente, si concorre così ad aumentare l’incidenza di contagio. Senza parlare del corretto smaltimento delle carcasse e varie attività di losco. Per correttezza scientifica, non si può comunque escludere al 100% la possibilità che i carnivori portandosi via parti di carcasse infette, possano venire a contatto in altro modo con il virus. Ma questo comportamento è limitato al trasporto di cibo nelle piccole distanze (per portare ad esempio nutrimento ai piccoli) e non può quindi essere ritenuto sufficiente per la diffusione del virus su larga scala. Si tenga presente poi che proprio per un comportamento igienico molto forte, normalmente si puliscono il pelo quando viene sporcato da sangue o altri liquidi corporei, riducendo ulteriormente la possibilità di trasmettere il virus a causa della contaminazione della pelliccia.

Insomma i benefici apportati all’ecosistema dai grandi predatori sono di gran lunga superiori di quanto non si pensi.


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