Mary Varale: la signora di Milano

Maria Gennaro Varale – detta Mary – divenne un simbolo di generosità, coraggio ed emancipazione. Una figura ingombrante, cresciuta in un contesto molto particolare. Si scontrò con il regime fascista, contro un movimento che di anno in anno volle mettere in secondo piano il ruolo rappresentato dalle donne. E nonostante l’iniziale vicinanza al partito, concluse la sua carriera alpinistica sfidandolo apertamente. Tracciò così un solco indelebile fra lei e il regime. Soltanto 4 anni dopo, il punto di non ritorno sancito dagli screzi con il CAI. L’alpinismo aveva inglobato, negli alti ranghi, il pensiero dominante dell’epoca. Per una donna, come la Varale, non c’era spazio.

Nel 1931 un censimento demografico pubblicò questo dato: la popolazione italiana contava 41 milioni di abitanti. Non bastarono nemmeno agevolazioni matrimoniali, assegni familiari e premi per le madri più prolifiche Si registrò che nelle aree urbanizzate, le famiglie tendevano ad assestarsi sul concepimento di uno – massimo due – figli. L’Italia non cresceva. Come se non bastasse, gli uomini cominciarono a rumoreggiare rispetto al ruolo delle donne nel mondo del lavoro. Il duce non si fece scappare l’occasione, indicando nei capifamiglia le figure idonee ad un avanzamento di carriera. Emarginando ulteriormente le donne. Nel 1938 il colpo di grazia, a sancire l’asimmetria dei ruoli. Negli enti pubblici e privati, la presenza femminile non poteva superare il 10% della forza lavoro. Pertanto all’interno di aziende o uffici, con meno di 10 dipendenti, le donne non potevano essere presenti. La donna, inadatta al lavoro, all’insegnamento nelle scuole di storia e filosofia, doveva essere prima sposa e poi madre.

Negli anni venti del novecento una giovane milanese si sarebbe potuta godere un’acconciatura da parrucchieri di lusso o una manicure nei primi alberghi diurni. Si sarebbe dovuta godere la fortuna di nascere pronta al dolore e alla sofferenza del parto. Avrebbe dovuto gioire nell’essere riconosciuta come una “gentildonna”, un’ “elegante signora”, una “madre di famiglia”. Le minoranze rivoluzionarie sarebbero state oppresse dal fascio, nascoste e offuscate da una visione patriarcale che non lasciava spazio. Vivere da donna il ventennio fascista significava soccombere all’uomo. Una condizione tangibile anche per Maria Gennaro, che non solo scampò alla condanna ma la combattè con il suo modo di essere.
Sia in città che in montagna.


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