I recuperanti: una professione pericolosa

Lunedì 25 febbraio 1974 – Asiago, Vicenza. È una mattina come quella di tante altre, con il fumo dei camini che si alza dai tetti delle case ancora ghiacciati dalla notte. Una patina che luccica non appena il sole si alza fin sopra l’ultimo dente delle montagne, quando ha la forza di illuminare le prime case che si staccano dal bosco.

Episodio 1

Il boato

Sono passati 56 anni dalla fine della prima guerra mondiale, 29 dalla seconda. Eppure, nei paesi in prossimità del fronte Italo-austroungarico, gli strascichi di quegli eventi sono ancora tangibili in chi è rimasto. È stato ricostruito un intero territorio che ha sofferto la violenza dei bombardamenti e ulteriormente colpito dall’avanzata dell’esercito avversario fin dentro le case. In molti sono stati costretti a emigrare giù dall’Altopiano, accompagnati dall’incertezza per un futuro difficile da immaginare.
Quando poi dai calamai si attinse l’inchiostro per siglare la pace, chi era fuggito cominciò a tornare nei paesi dove aveva lasciato tutto. I più fortunati trovarono le case ancora in piedi, gli altri non riconobbero nemmeno più il terreno. Il territorio del fronte cambiò, sconquassato dalle deflagrazioni delle bombarde, dai proiettili d’artiglieria shrapnel, colpi di cannone, mine e tubi di gelatina pronti a far saltare in aria strade e reticolati avversari. Nel giornale “L’Unità” ancora caldo dalla stampa ma rinfrescato dalla fresca mattinata invernale, un articolo titolava:

“Erano gli ultimi “recuperanti” per hobby i sette dilaniati dalla gelatina ad Asiago”

Alle ore 16:45 di sabato 23 febbraio, si verificò uno degli ultimi incidenti che coinvolse non solo i recuperanti ma anche chi si trovava nelle vicinanze di un’imponente deflagrazione.

Episodio 2

Rimanere

Le generazioni più giovani erano state chiamate all’età adulta in anticipo, non riuscirono a godersi nemmeno la miseria e le difficoltà quotidiane della vita sulle montagne. Per loro avevano deciso altri, vennero convocati e convocate a un passo dalla morte, allontanando precocemente tutte e tutti dai campi, dalle case, dalle malghe, dagli alpeggi e dai boschi. La dichiarazione di guerra all’Austria divise chi si era promesso amore, obbligato dalla leva a salire fin sopra le trincee o a sacrificarsi per amore patriottico. La difesa per la propria terra venne trasformato in unico e inscalfibile motivo d’esistenza, l’essere umano diventò carnefice o vittima a seconda del fato, a seconda del vento che poteva influenzare le traiettorie dei proiettili, rispetto a esplosioni che potevano smembrare e mutilare senza una logica. La diplomazia venne annientata dalle decisioni governative che imposero alle genti di marciare verso l’alto, lasciandosi alle spalle la polvere di ghiaie che poco prima erano agitate soltanto da pascoli, pastori e da tutta la silenziosa esistenza delle creature di boschi e montagne.
La chiamata alle armi divenne una falce che abbracciò germogli e piante mature, non lasciando scampo a nessuno. Caddero tutte e tutti. Ci si rese conto di partecipare ad uno degli eventi che avrebbero macchiato la storia dell’umanità. Uno di quelli che induce a riflettere e che riporta indietro nel tempo, su quei banchi di scuola sporchi di inchiostro, intarsiati dalle forbici e con qualche gomma da masticare sotto a tavoli traballanti.
In testa rimbomba una domanda: “Chissà come sarebbe stato vivere quel periodo?”.

Episodio 3

Per qualche lira

Per le comunità a ridosso del fronte che avevano sofferto e sopportato la devastazione della guerra e della fame, che avevano pianto e nemmeno sepolto tutti i loro morti, i rottami divennero una manna dal cielo. Si poteva finalmente ripartire, tutti insieme, famiglie intere con muli caricati di bombe e artiglieria cominciarono a ragliare tra i sentieri di montagna. Il tessuto sociale cominciava a sperare, con zaini stracolmi di ferraglie. La vita continuava, sostenuta da qualche centesimo di lira al chilo e da viaggi infiniti su mulattiere sconnesse.

Episodio 4

Testimonianze

In questo episodio saremo accompagnati dagli amici dell’Associazione IV novembre di Schio (Vicenza), che con quasi 800 soci operativi, si occupa di ricerca e memorie storiche sui monti di casa, in particolar modo il Monte Novegno. Ringrazio Giorgio dall’Igna per avermi messo in contatto con Giovanni Dalle Fusine, autore di numerosi trattati storici sulla grande guerra nonché esperto giornalista e recuperante moderno.

E’ curioso notare come il recupero dei materiali, nel primissimo dopoguerra, divenne il collegamento tra classi sociali profondamente diverse che – senza salutarsi – si incrociarono alla partenza di una difficile ripresa economica. L’Italia intera era strettamente correlata alle fabbriche che dovevano ricominciare a produrre, all’agricoltura e all’allevamento castrati dal conflitto, alla ricostruzione che procedeva a rilento, allo spettro della povertà che aveva già bussato alle porte di moltissime famiglie. E a quel fantasma non importava se il battente da far cantare sul legno delle porte fosse corroso dalla ruggine o lucidato per far risaltare l’ottone. Certo, sicuramente aveva conosciuto e approfondito i rapporti con dinastie intere di contadini e gente comune, ma in quell’epoca – anche i più benestanti – finirono nel mirino della miseria. Pronta, a premere il grilletto.

Episodio 5

Prima del canto del gallo

Su per i monti si saliva a piedi e – qualche volta – si incrociava qualcuno alla guida di un autocarro che si arrampicava sgasando, fin dove era possibile, su strade bianche dissestate. L’odore pungente di benzina bruciata da un 4 cilindri rumoroso, sopprimeva l’aria frizzante di prima mattina e i rumori del bosco. Per guidare un FIAT 18BL, uno degli automezzi in dotazione all’esercito italiano, era necessario un portafoglio pesante. Con uno di quelli ci si potevano fare grandi cose, soprattutto per la sua polivalenza tra i passi di montagna; si guidavano piuttosto bene quei 5.650 cm cubi di cilindrata, capaci di spingersi fino ai 25 km/h.
Il FIAT 18.BL conobbe il successo durante la grande guerra per il suo trasformismo, dato che sotto al cassonato in tela potevano essere trasportati soldati, potevano essere stivate le munizioni d’artiglieria ma – se necessario – si poteva allestire anche una sorta di ambulanza per un veloce ricovero dei feriti. Gli usi a supporto dell’esercito furono innumerevoli ma quei 38 cv che ruggivano sotto al cofano furono incredibilmente utili anche per i recuperanti. Quegli automezzi pesanti, capaci di trasportare a valle fino a 3,5 tonnellate di materiali in un singolo viaggio, cominciarono a ritornare dove si era combattuto. Qualche giorno succedeva che tra colleghi ci si desse una mano e allora, dentro al cassone vuoto del viaggio d’andata, ci potevano salire intere famiglie. Ma non era scontato, anzi, quasi sempre le gambe erano gli unici mezzi di trasporto.
Con un tempo mite e caldo ci si spingeva tutti insieme in alto, partendo prima del canto del gallo per poi ritrovarlo – al ritorno – sopito nel pollaio. Negli inverni rigidi, con le trincee coperte dalla neve e il ghiaccio a indurire ulteriormente il terreno, si cercava a quote più basse.

Episodio 6

Fatiche tra le nuvole

Una marea di ferraglia abbandonata, inerte e pericolosa inquinava i territori che fecero da teatro agli scontri della grande guerra. Ma mentre in pianura il recupero poteva essere affidato con relativa semplicità a reparti speciali o a ditte autorizzate, sulle montagne i protagonisti furono specialmente locali e forestieri dalle vallate adiacenti. Le zone impervie resero incredibilmente faticoso e difficoltoso il recupero di tutto quello che era stato abbandonato, cadaveri compresi. Le ditte salivano con i camion per la pesa e l’acquisto dei materiali, indispensabili al settore industriale per cominciare a trainare di nuovo l’economia. Ma dei primissimi recuperanti, indispensabili tanto all’Italia quanto alle loro ristrette comunità rurali, il tempo ne sta offuscando le storie ma non le memorie. Affascinanti non solo per una professione audace, delicata e pericolosa ma anche per il valore che diedero alle loro esistenze; cresciuti nella fatica e nella sofferenza, in diverse testimonianze viene riportato come – in fin dei conti – vivessero felici con il nulla che avevano. Un messaggio che impone obbligatoriamente una riflessione, che spinge verso l’esigenza di fermarsi senza darsi un tempo, perché ne abbiamo diritto, assaporando meglio una vita scandita da un ritmo – fin troppo veloce – a cui non si riesce a dare valore. Per costruire il futuro, ma anche per godersi il presente, è necessario fare i conti con il passato; questo è il messaggio dei recuperanti che, invece, sono rimasti e rimangono ai margini della storia.


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